LA
GUERRA IN LIBANO:
L’ENNESIMA VERGOGNA PER GLI
EUROPEI
(pdf)
Alternativa
europea |
I
divergenti interessi fra gli Stati
medio-orientali, oltre alla irrisolta
questione palestinese, sono all’origine
dell’ennesima guerra che
vede oggi Israele, Iran, Siria
impegnati a consolidare le rispettive
posizioni a spese di un Libano
ancora una volta abbandonato a
se stesso. Si tratta di una guerra
che, qualunque sia l’esito,
non porterà più
sicurezza ad Israele, che non
può spingersi fino a distruggere
completamente il Libano e Gaza
senza suscitare una reazione incontrollabile
da parte dei paesi arabi e del
mondo in generale; né rafforzerà
più di tanto Hamas e Hezbollah,
la cui esistenza ed attività
dipendono in larga parte dalle
decisioni che prenderanno Siria
e Iran. In effetti proprio questi
ultimi, se non verranno coinvolti
più direttamente, potranno
presentarsi come gli interlocutori
di riferimento della regione visto
che tutto sommato finché
era durata l’occupazione
siriana del Libano, la situazione
era rimasta sotto controllo e,
per quanto riguarda l’Iran,
avrebbe agito per interposta persona
senza subire danni. Al contrario
la leadership USA ne esce ulteriormente
indebolita e le diverse posizioni
espresse sulle due sponde dell’Atlantico
– gli europei sono favorevoli
a pressioni internazionali per
un cessate il fuoco immediato
nella zona, mentre gli USA temporeggiano
– hanno riproposto il tema
della divergenza di interessi
tra Europa e America. In tutto
ciò il Libano viene ormai
considerato come una semplice
espressione geografica, con buona
pace per chi, anche recentemente
nello stesso mondo arabo, come
il poeta libanese Adonis (Ali
Ahmad Said Asbar), sperava che
il suo paese potesse diventare
un modello di Stato democratico
per il mondo arabo.
Nel momento in cui le azioni militari
sono in corso, si assiste al solito
raccapricciante spettacolo di
chi si schiera pro o contro Israele,
pro o contro il mondo islamico
sulla base di considerazioni pseudo-pacifiste,
pseudo-religiose e moraliste.
Ma le milizie di Hamas e di Hezbollah,
per non parlare dell’esercito
libanese e di quello israeliano,
agiscono e reagiscono innanzitutto
nel quadro del tradizionale confronto
fra diverse ragion di Stato. Ancora
una volta è la logica del
right or wrong my country a governare
le menti, le parole e gli atti
di coloro i quali avrebbero la
responsabilità di richiamare
tutti alla ragione. Ma così
non è, come dimostrano
gli interventi di israeliani come
Martin van Creveld (storico) e
Amos Oz (scrittore). Per Creveld
“qualunque cosa dicano gli
uomini e le donne di Bruxelles
(cioè gli europei, n.d
a.), il problema in Libano non
sta nell’eccessivo uso della
forza da parte di Israele, ma
nell’eccessiva riluttanza
di Israele ad usare tutta la forza
necessaria per risolvere il problema
una volta per tutte. E la ragione
di questa riluttanza risiede purtroppo
in un ben fondato timore di una
eventuale condanna internazionale”
(Frankfurter Rundschau, 19.07.2006).
Certo bisognerebbe chiedere a
Creveld se per “tutta la
forza necessaria” intende
anche l’uso dell’armamento
atomico di cui dispone Israele.
Rivolgendosi ai pacifisti, Oz
ha invece sostenuto che "poiché
Israele vuole semplicemente annientare
Hezbollah per proteggersi dai
suoi attacchi, il movimento per
la pace deve sostenere completamente
Israele nella sua politica di
difesa finché verranno
risparmiati, ovviamente nella
misura del possibile, i civili
libanesi (anche se ciò
non sarà facile a causa
delle infiltrazioni di Hezbollah)"
(Frankfurter Allgemeine Zeitung,
19.07.2006). Oz dovrebbe ricordare
che è su simili posizioni
che è naufragato il movimento
pacifista in Europa alla vigilia
della prima guerra mondiale.
Purtroppo la guerra in Libano
è solo il sintomo più
evidente di una situazione generale
che sta diventando sempre più
ingarbugliata, in cui si preparano
sempre nuove crisi senza risolvere
le vecchie. In questo primo lustro
del secolo la guerra in Afghanistan
non ha risolto il problema della
stabilità in quella regione;
al contrario recentemente si sono
addirittura intensificati gli
scontri tra i talebani e le truppe
anglo-americane: La guerra in
Iraq non ha prodotto la fine del
terrorismo e l’instaurazione
di un regime democratico autonomo
capace di garantire la sicurezza
interna, ma una guerra civile
che fa ormai circa cento vittime
al giorno. I negoziati sul nucleare
con l’Iran non hanno prodotto
la fine del programma iraniano,
ma la sua prosecuzione. In un’America
latina sempre meno sotto l’influenza
USA, il Brasile non nasconde le
proprie ambizioni (regionali e
non); in Asia la Corea del Nord
ha ripreso i suoi esperimenti
missilistici (sospesi nel 1998),
costringendo gli USA ad inviare
in Giappone navi antimissile.
Senza contare che i recenti attentati
in India e Pakistan sono destinati
ad alimentare nuove tensioni fra
questi due paesi. In Africa covano
sotto le ceneri dell’ex-colonialismo
europeo diversi focolai di tensione
(Congo, Namibia, Angola, Sudan
per citarne alcuni) che i singoli
paesi europei – Francia,
Germania e Gran Bretagna in testa
–, nel tentativo di promuovere
i propri interessi commerciali
e militari, irresponsabilmente
alimentano.
Di fronte alla nuova crisi medio-orientale
nei paesi europei e negli USA
si sono levate le solite voci
per chiedere di disarmare Hezbollah,
di creare uno Stato palestinese
garantendo la sicurezza ad Israele,
di indurre a più miti consigli
lo stesso Stato di Israele oltre
che la Siria e l’Iran. Ma
la dura realtà è
che in una zona cruciale per la
sicurezza militare ed energetica
internazionale come il Medio Oriente,
né l’ONU, né
il G8, né gli USA, né
tanto meno gli europei, singolarmente
o attraverso l’Unione europea,
sono in grado di fare qualcosa.
Da decenni l’ONU ha stanziato
in Libano migliaia di caschi blu,
con i risultati che si sono visti.
Il G8 di S. Pietroburgo si è
dovuto limitare ad auspicare la
fine del conflitto. Da parte loro
gli europei non sono in grado
di fornire nessuna garanzia né
per quanto riguarda la formulazione
né per quanto riguarda
l’attuazione di alcun piano
di pace: il fatto che abbiano
favorito e appoggiato il piano
USA per l’uscita della Siria
dal Libano senza prevedere a suo
tempo alcuna protezione alternativa
è l’ennesima prova
della loro inaffidabilità
e irresponsabilità. Oggi
alcuni europei, come i verdi al
Parlamento europeo e Cohn Bendit
in particolare, invocano addirittura
un intervento della NATO (formalmente
sotto l’egida dell’ONU,
ma praticamente sotto il comando
USA). Altri chiedono un impegno
dell’Unione europea nell’ambito
di una iniziativa ONU: ma è
evidente che un simile impegno
avverrebbe come al solito a giochi
fatti per fornire degli aiuti
umanitari a popolazioni disperate
e attraverso strutture precarie,
e non per garantire davvero la
ricostruzione e una pace duratura.
Intanto gli avvenimenti incalzano.
La finzione di un Libano sovrano
è finita: il suo destino
è quello di rimanere, chissà
per quanto tempo, un non-Stato
in cui la faranno da padroni i
paesi vicini e le bande armate.
Per il resto, nel giro di qualche
giorno sapremo se le forze che
si confrontano in Libano e a Gaza
saranno diventate definitivamente
prigioniere del time-table militare
e avranno superato la soglia oltre
la quale questa guerra è
destinata a trasformarsi da locale
in regionale – coinvolgendo
direttamente altri Stati e, indirettamente,
la Cina e la Russia oltre che
gli USA -, oppure se esse si “limiteranno”
a distruggere qualche città
libanese, israeliana e palestinese,
a uccidere qualche centinaio di
uomini, donne e bambini, a fare
qualche centinaia di migliaia
di profughi, creando le premesse
per nuovi scontri, violenze e
atti di terrorismo nei prossimi
anni.
Gli organismi internazionali,
che si basano sul rispetto della
sovranità dei loro membri,
non possono affrontare e risolvere
crisi come queste. L’attuale
multipolarismo non è in
grado di prevenire lo scoppio
di crisi analoghe e tanto meno
di garantire almeno su base regionale
la sicurezza. Da dove possono
cominciare gli europei per contribuire
ad invertire la rotta? Da oltre
mezzo secolo essi sono di fronte
alla scelta fra rimanere degli
impotenti spettatori di tragedie
destinate prima o poi a travolgerli,
e diventare degli attori internazionali
credibili. . Finora non hanno
voluto percorrere quest’ultima
strada, perché ciò
implica decidere di superare la
dimensione nazionale dello Stato
e fondare un nucleo di Stato federale
europeo sovrano nel campo della
politica estera e di difesa. Se
non maturerà la consapevolezza
della necessità di un simile
salto, almeno tra gli Stati fondatori,
i cittadini francesi, tedeschi
o italiani, devono rassegnarsi
a restare sul terreno delle buone
intenzioni pacifiste, della semplice
professione di fede europeista
e della sudditanza de facto nei
confronti delle scelte della potenza
regionale o globale di turno.
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