Un commento sulla proposta di Blair per
la riforma della Presidenza del Consiglio europeo
Luisa
Trumellini
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Credo che nessun federalista
possa avere dubbi sul fatto che la riforma proposta da Blair
per dare ad un ex-primo ministro la presidenza del Consiglio
europeo per cinque anni sia un tentativo di suggellare definitivamente
la struttura confederale dell'Unione, dando l'illusione che questa
Europa dei 15, e dei 27 o 30 a breve, possa funzionare grazie
all'autorità personale di qualche leader. Quello che colpisce,
però, non è ovviamente il fatto che Blair si faccia
promotore di una simile iniziativa, ma piuttosto che un'idea
così insensata, in cui ambizione personale e volontà
anti-europea (se per Europa si intende ancora il progetto originario
dell'unità politica) si fondono abilmente, venga accolta
e presa in considerazione anche dagli europeisti come una possibilità
di migliorare l'assetto istituzionale dell'Unione.
La confusione che regna in questo momento sul tema delle riforme
necessarie per rendere l'Europa un "soggetto politico",
cioè un organismo più efficiente e capace di agire
(e magari anche più democratico), è massima. Tendenzialmente
si imputa all'Unione l'incapacità di agire che è
invece degli Stati (i quali nel quadro dell'Unione litigano per
difendere i loro piccoli interessi nazionali) e si pensa di poter
risolvere il problema dando più "autorità"
all'Europa, cosa che in questa fase di decadenza della vita politica
e democratica significa cercare di identificare un leader che
rappresenti all'esterno l'Unione e che si imponga in qualche
modo all'interno. Tutto ciò ignorando, in buona o cattiva
fede, che il problema cruciale è quello del passaggio
della sovranità dagli Stati all'Europa, passaggio senza
il quale nessuna riforma può funzionare, né l'Unione
può diventare un soggetto politico.
E' per questo che, senza chiarire questo punto essenziale, qualsiasi
intervento nell'attuale dibattito sulla riforma dell'Unione è
destinato solo ad alimentare l'ambiguità. Questo vale
sia per le proposte di trasformare la Commissione nel vero governo
dell'Europa responsabile di fronte al Parlamento europeo, sia
per quelle che chiedono l'abolizione del diritto di veto come
per quelle che auspicano la codecisione legislativa tra Parlamento
e Consiglio europeo, per non parlare di quelle che si limitano
a chiedere l'attribuzione di competenze, incluse la politica
estera e di difesa, all'Unione. Non perché in astratto
queste proposte non siano corrette, ma perché non identificano
il nodo da sciogliere affinché queste riforme possano
essere approvate e funzionare realmente; non dicono, cioè,
che devono essere il frutto di un atto di volontà politica
con cui si pongono le basi della statualità europea e
con cui quindi si instaura il rapporto diretto tra cittadini
e governo federale europeo da cui dipende la capacità
di quest'ultimo di assumere impegni sia interni che esterni e
di mantenerli. Questa è l'unico modo per rendere l'Unione
democratica e capace di agire come soggetto politico. Senza questa
specificazione, qualsiasi richiesta, inclusa quella dell'elaborazione
della Costituzione europea, viene svuotata del suo valore federale
e trasformata in un elaborato marchingegno istituzionale in cui
si cercano di coniugare "governo europeo" e mantenimento
delle sovranità nazionali, ricorrendo, tanto per citare
un esempio che fa anche Amato, al modello di un esecutivo europeo
bicefalo in cui i poteri relativi alla politica estera e alla
difesa vanno al Consiglio europeo, e quindi restano agli Stati,
e le competenze della politica economica, della giustizia e dell'ordine
pubblico vengono affidate alla Commissione europea che però,
e questo nessuno lo dice, è destinata a rimanere l'organo
sostanzialmente burocratico ed impotente che è attualmente,
proprio perché non si scioglie il nodo della sovranità.
Per alcuni tra coloro che partecipano al dibattito europeo il
fatto di limitarsi a proposte istituzionali senza affrontare
il cuore del problema politico è il risultato dell'illusione
che si possa costruire la Federazione europea di nascosto, senza
che gli Stati se ne accorgano; per altri è un preciso
disegno per respingere la scelta sovranazionale, per molti è
solo un segno di grande confusione. E' per questo che il ruolo
del MFE dovrebbe essere proprio quello di smascherare questa
ambiguità e di portare nel dibattito l'elemento di chiarezza
mancante, per preparare il terreno e per far maturare la scelta
federale. E' chiaro che all'inizio (è quanto sta gia accedendo
nell'esperienza di chi sta dialogando con la classe politica
sulla base dell'appello "Sì allo Stato federale europeo")
si trovano consensi, ma si costringono anche dei nemici a venire
allo scoperto. Ma la cosa essenziale è che senza questo
nostro intervento, oggi come in tutti i momenti importanti del
passato, nessuno, e sottolineo nessuno, dice la cosa giusta e
indica il punto cruciale; e quindi senza il nostro intervento
la cosa giusta e il punto cruciale non esistono, non rientrano
nella categoria delle opzioni sul terreno.
Il rischio più grave che corre oggi l'Europa, mentre si
affanna nel tentativo di rafforzarsi ripudiando al tempo stesso
l'ispirazione sopranazionale originaria, è quello di scivolare
inconsapevolmente verso la disgregazione fino al punto di non
ritorno. E' per questo che, al di là del diverso giudizio
che si può dare sulla Convenzione, ritengo che il Movimento
si debba impegnare in un'azione chiara e incisiva, di cui un
esempio mi pare possa essere quella dell'appello ai sei paesi
fondatori per lo Stato federale europeo, per far vivere e tenere
sul campo la vera alternativa federalista. |
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