Il nuovo
governo tedesco e il nodo di Gordio
L’entrata in vigore del Trattato di Lisbona concluderà una fase del processo di integrazione europea
tanto travagliata, quanto – perlomeno – chiarificatrice circa lo stato attuale
dell’Unione e il suo possibile futuro. Guardando indietro agli ultimi dieci
anni è evidente la crisi profonda in cui versa il processo di
unificazione: una costituzione fasulla, tre referendum negativi, un
trattato che essenzialmente non cambia nulla, ma che stenta ad essere
ratificato da tutti i paesi. Il metodo gradualista
concepito da Monnet e utilizzato per cinquanta anni di integrazione non funziona più o almeno non permette di
raggiungere l’obbiettivo finale che i Padri fondatori si erano posti, vale a
dire l’unificazione del continente. Spetta ora alla classe politica e ai
cittadini europei comprendere quanto questo fine ultimo di unità
rimanga necessario e quindi elaborare una nuova strategia per realizzarlo.
L’attenzione oggi è rivolta più che mai alla Germania e alla nuova coalizione di governo uscita
dalle urne lo scorso 27 settembre. La riconferma piuttosto scontata di Angela Merkel e la vittoria dei
liberali guidati da Guido Westerwelle non garantisce
nessun cambiamento netto dell’Euro-politik
tedesca, ma crea un equilibrio di potere nuovo, capace forse di portare a
scelte più coraggiose di quelle alla portata della Grosse Koalition. Se l’interesse prioritario di quest’ultima era sostenere il quadro comunitario, messo
evidentemente in crisi dalla bocciatura della Costituzione, il nuovo governo
dovrà farsi carico di un progetto politico nuovo per l’Europa se vuole evitare
l’impasse definitiva dell’Unione e risolvere tutta una serie di problemi
interni alla Germania. In verità i programmi elettorali
dei due partititi non hanno toccato che in modo superficiale la questione
europea. Entrambi ostili all’ingresso della Turchia nell’Unione, la CDU
menziona timidamente la necessità di sviluppare una politica di sicurezza ed
estera comune, mentre l’FDP si sbilancia parlando
addirittura di esercito europeo. In particolare secondo la CDU dovranno essere
cedute all’Unione quelle competenze che meglio possono essere esercitate a
livello europeo, ma i prossimi progetti dovranno comunque
salvaguardare il ruolo degli Stati membri e quindi il metodo intergovernativo.
Nonostante buona parte della classe politica europea
sia ancora consapevole dell’importanza storica del processo di
integrazione, e ne riconosca la necessità, rimane ancora forte,
purtroppo, l’incapacità di accettare la crisi dello Stato nazionale e questo
fatto, unitamente alla totale assenza di un progetto politico concreto per
l’Europa, sta trascinando il processo di integrazione in un vicolo cieco. La
responsabilità di contrastare questa deriva pesa in primis sullo Stato
più potente e sviluppato del continente, e cioè la
Germania. E’ questo l’unico paese, in Europa, che può illudersi di reggere da
solo il confronto con gli altri grandi della terra senza peccare troppo di
vanità come i francesi o di ingenuità come gli
inglesi. Per quanto apparentemente meno irrealistica, tuttavia, questa rimane
un’illusione che si infrange contro una crisi sempre
più forte che investe sia la questione dell’identità nazionale, sia l’ormai
storica paura di potenza, sia i limiti fisiologici e le fragilità di uno Stato medio-piccolo. La Germania non può
giocare sullo scacchiere globale lo stesso ruolo dei grandi paesi continentali,
anche se cerca di fare del suo meglio perché gli altri non se ne accorgano.
Negli ultimi dieci anni la sua politica estera si è mossa in due direzioni
fondamentali. Innanzitutto ha cercato di mantenere
stabile il quadro comunitario, forte degli enormi vantaggi derivati
dall’allargamento ad Est, dal mercato unico e dall’euro. Allo stesso tempo però
la Germania ha iniziato a giocare un ruolo
indipendente, sforzandosi di perseguire i propri interessi e le proprie
ambizioni al di là dei limiti cronici dell’Unione. Oltre all’ormai noto
progetto Northstream e alla richiesta di diventare
membro stabile del Consiglio di Sicurezza – che il paese, nonostante le recenti
dichiarazioni di segno contrario a questo proposito, continua ad usare come
arma politica – , negli ultimi anni la Germania ha
sviluppato una serie di progetti indipendenti in ambito commerciale e militare
scegliendo come partner privilegiati la Russia, alcuni paesi dell’Africa
centrale e altri dell’Estremo oriente. Anche nella questione Opel, la scelta di Magna, di proprietà della russa Sberbank, rispetto a FIAT, è stata certamente influenzata
dalla volontà di Berlino di privilegiare il rapporto
con un partner strategico come la Russia, piuttosto che creare ulteriori legami
all’interno del quadro europeo.
Se è vero che la Germania sta
ormai cercando di sviluppare una prospettiva di potenza indipendente dal
processo di unificazione del continente, la sua vocazione europea ha radici
profonde e la sfida dell’integrazione ritorna spesso come risposta naturale a
molte delle paure e delle ambizioni nazionali. Ben venga allora che il governo
tedesco inizi a considerare, per quanto timidamente, come necessaria la
creazione di una difesa europea, purché diventi un progetto politico serio. In
un articolo uscito su Der Spiegel il direttore del Global
Public Policy Institute di
Berlino, Thorsten Benner,
si è rivolto direttamente ai due vincitori delle elezioni chiedendo loro più
coraggio per far giocare alla Germania un ruolo guida
nella prossima fase dell’unificazione europea. Bisognerà aspettare la
formazione del governo per conoscere i primi progetti concreti, ma se la Merkel e Westerwelle avranno
effettivamente il coraggio di accelerare il processo di integrazione
dovranno comunque inventarsi qualcosa di nuovo rispetto all’ennesima riforma
unanime dei Trattati. Rispetto ai tempi della Presidenza tedesca dell’Unione del 2007 si sono ormai consolidati una serie di limiti
insuperabili. Il primo è l’evidente impossibilità di avanzare a ventisette o
trenta paesi L’ipotesi di negoziare un nuovo trattato e di sottoporlo alla
ratifica unanime oltre che difficile sarebbe del tutto inutile: mancherebbe
semplicemente il consenso di tutti i paesi membri rispetto a qualunque cessione
sostanziale di sovranità o superamento del metodo intergovernativo. Esiste poi
il chiaro stop della Corte costituzionale tedesca. Qualunque trattato che punti
a cedere poteri sostanziali a livello europeo sarebbe semplicemente
incostituzionale perché il superamento della dimensione confederale e la
fondazione di un potere politico nuovo e autonomo necessita
di un atto costituente e non di un semplice accordo di diritto internazionale.
Se la Germania, come è auspicabile, vorrà proporre
un’accelerazione del processo di integrazione le si offrono essenzialmente due
strade. La più facile consiste nel realizzare delle collaborazioni rafforzate
con i Paesi vicini in campo economico ed eventualmente militare. Si tratta di
una soluzione debole, dovendo questi settori essere coordinati all’unanimità
senza creare nessun potere europeo autonomo. Scegliendo invece una soluzione
più coraggiosa e drastica la Germania dovrebbe
proporre una rivoluzione interna al sistema europeo, creando un’unione federale
con i paesi pronti a seguirla, all’interno della più grande cornice
comunitaria. Esiste una corrente interna alla CDU che fa capo all’ex Ministro
degli interni Schaeuble che già in passato si era
fatta promotrice di un simile progetto. Purtroppo in questo momento tale
soluzione viene scartata, date le illusioni di gran
parte del mondo politico ed economico di fare giocare alla Germania un ruolo
autonomo, e la difficoltà di far condividere alla Francia un progetto serio di Kerneuropa. Eppure per
quanto arduo, il salto verso l’unione federale rimane l’unico modo per superare
l’impasse in cui l’Europa versa da dieci anni e per risolvere molti dei
problemi economici e sociali che gli Stati nazionali non sanno più affrontare.
Se l’Europa non si farà presto Stato i primi a pagarne
il prezzo saranno gli stessi paesi membri, in termini di benessere dei loro
cittadini e di funzionamento delle istituzioni democratiche. Se la Germania avrà il coraggio di tagliare il nodo di Gordio che imprigiona il processo di unificazione garantirà
non solo a se stessa benessere e stabilità, ma permetterà a un continente
intero di evitare il declino e di giocare un ruolo attivo nel mondo multipolare.
Luca Lionello