Gli Stati Uniti d’Europa: non è più
tempo di mezze misure
Il 1° giugno presso l’Università Heine di Duesseldorf,
l’ex-Ministro degli Esteri tedesco Joschka Fischer ha spiegato come, sotto la superficie della
maschera della crisi finanziaria, quella che sta vivendo l’Europa è in realtà
una vera e propria crisi politica
L’impressione che il tempo delle
mezze misure e delle mezze soluzioni nel quadro dell’unificazione
europea sia finito emerge sempre più spesso nel dibattito sul futuro dell’Unione.
Chiunque analizzi la profonda crisi economica che stiamo vivendo e si proponga di riflettere seriamente sulle strategie per
uscirne non può non interrogarsi sul futuro dell’euro, sulla sua tenuta, e
quindi sull’essenza stessa del processo di integrazione e sulla prospettiva
dell’unificazione politica.
Un esempio lucido e argomentato di
queste riflessioni lo offre Joschka Fischer in una lezione tenuta il 1° giugno presso
l’Università Heine di Duesseldorf.
Nel suo intervento l’ex-Ministro degli Esteri tedesco spiega come, sotto la
superficie della maschera della crisi finanziaria, quella che sta vivendo
l’Europa è in realtà una vera e propria crisi politica. Una moneta, infatti,
abbina sempre la funzione economica al fatto di essere l’espressione di una
sovranità politica, ed è quest’ultima che, in ultima istanza, la garantisce e le dà credibilità. E’ questo il
vero nodo da cui si sviluppa la crisi dell’euro. Citando il suo discorso del
2000 presso l’Università Humboldt di Berlino, Fischer ricorda come, effettivamente, si siano
verificate tutte le criticità che lui stesso aveva paventato in quell’occasione. Allora, egli aveva
infatti messo in guardia a proposito della debolezza dell’Unione e della
moneta, lanciando la proposta di procedere velocemente verso una più profonda
unificazione politica federale a partire da un nucleo di paesi che ne avessero
avuto la volontà.
A dimostrazione di quanto i timori
fossero fondati, il 9 maggio di quest’anno l’Unione
europea si è trovata sull’orlo del baratro e i Capi di Stato dei paesi membri
dell’eurogruppo hanno dovuto adottare misure
economiche ingenti, creando un fondo di 750 milioni di euro,
per evitare che gli effetti della crisi greca e delle speculazioni dei mercati
finanziari distruggessero l’Unione monetaria. Si è trattato indubbiamente di un
intervento che ha avuto una grande rilevanza politica
e che ha permesso di sciogliere, in poche ore, i nodi che avevano bloccato
l’Unione negli ultimi dieci anni, e che si erano concretizzati nella
“catastrofica esperienza del Trattato costituzionale” e nel “quasi-disastro del Trattato di Lisbona”, come li definisce
lo stesso Fischer. Tuttavia, in
questo delicatissimo momento, il governo tedesco ha giocato un ruolo
irresponsabile, che l’ha anche isolato rispetto ai partner. Fischer, a questo proposito, non lesina critiche
all’atteggiamento della Germania che è arrivata
addirittura a pensare di escludere la Grecia dall’Unione monetaria, definendo
questa ipotesi “peggiore di un crimine” e “di una stupidità imperdonabile”,
perché avrebbe portato sicuramente al collasso della moneta. Al contrario,
l’Europa dovrebbe essere la prima priorità nell’interesse nazionale della Germania, che dal progetto di integrazione ha sempre
tratto, e continua a trarre tutt’oggi, enormi
vantaggi politici ed economici.
Come lezione positiva
da ricavare da quanto successo, resta il fatto che, nel salvataggio della
Grecia, l’area dell’euro ha mostrato di avere la capacità e le risorse per
reagire, comportandosi come l’avanguardia dell’Unione. E
visto che l’UE a Ventisette è incapace di agire in modo unitario, è giusto e
doveroso che l’eurogruppo agisca come avanguardia
“in-nanzitutto dentro i Trattati e, se ciò non porta a nessun risultato, o se i
risultati sono troppo lenti, al di fuori dei Trattati, nello spirito e
nell’interesse dell’Unione”.
Ma la lezione più importante da
trarre oggi, è che l’Europa si trova in un impasse,
bloccata tra gli Stati nazionali e l’integrazione, ed è uno stallo
pericolosissimo. La riflessione da fare, allora, è che fino ad oggi il progetto
comunitario è stato un progetto elitario, calato dall’alto, che ha portato
grandi successi e che al tempo stesso, nell’approfondire l’integrazione, ha via
via perso legittimità democratica; con il fallimento
del Trattato costituzionale e con il tormentato iter di approvazione
del Trattato di Lisbona, questo approccio è giunto al capolinea. Serve allora
un nuovo progetto per l’Europa, una visione chiara del suo futuro, che non
potrà nascere “dai grovigli delle soluzioni pragmatiche e tecnocratiche e dei
cambiamenti istituzionali... Chi vuole un’Europa unita, deve lasciare alle
spalle le mezze
misure e i falsi compromessi prag-matici (e nessuno più di me merita questa
critica) e imparare nuovamente ad esprimere quello che è davvero importante:
gli Stati Uniti d’Europa, niente di più e niente di meno”.
L’Europa avanzerà solo se questo
progetto diventerà l’oggetto del dibattito democratico e il terreno di
confronto tra le maggioranze democratiche all’interno degli Stati membri. Come conclude Fischer, “la crisi in
corso ha dimostrato che le mezze misure non sono in grado di reggere di fronte
alla cruda realtà, né lo possono i falsi compromessi. Ha anche dimostrato che i
visionari europei erano i veri realisti; e che solo il cammino verso gli Stati
Uniti d’Europa può essere una reale alternativa al
fallimento. L’Unione non può rimanere ferma indefinitamente, questa è la
lezione che ci è stata imposta oggi dalla realtà.
Non dobbiamo prenderci in giro dicendo che la visione degli Stati Uniti d’Europa sarà
sostenuta dal consenso della maggioranza in gran parte degli Stati membri, o
anche solo in Germania. E senza maggioranza non si può
fare un passo del genere. Pertanto, c’è una sola cosa che chi crede nell’Europa
deve fare: rimboccarsi le maniche e impegnarsi in una battaglia democratica per
ottenere la maggioranza. La battaglia sarà lunga e faticosa, ma riuscirà, alla
fine, ad assicurare la maggioranza democratica nei paesi europei che sono in favore degli Stati Uniti d’Europa, segnando la
nascita di una vera democrazia europea. Battersi per questo obiettivo
merita lo sforzo, soprattutto perché siamo tutti sin troppo consapevoli delle
alternative”.
Federico Butti